Il settore della birra artigianale italiana è asfittico e i birrifici nostrani sembrano in debito d’ossigeno. Mentre si litiga ancora su chi sia più puro (tra i puri), i grandi eventi gastronomici epurano i nostri eroi. Possibile che sia una situazione senza via d’uscita? Non è detto. Forse la soluzione è a portata di mano, ma non ce ne accorgiamo. Il resoconto di un concorso di homebrewers in Sicilia.
Gli eventi degli ultimi giorni hanno messo in subbuglio l’ambiente della birra artigianale italiana. L’autunno caldo, di cui sentiamo parlare da sempre, non è solo prerogativa dei governi in carica. D’altra parte qui in Sicilia non siamo al 25 Settembre, ma al 54 Agosto e le spiagge sono ancora piuttosto affollate. E’ un autunno caldo in tutti i sensi.
Cosa è successo di tanto eclatante?
Intanto c’è stato il Salone del Gusto di Torino, evento organizzato dal 1996 da Slow Food (and friends), mai come quest’anno ricco di spunti di discussione. Andiamo subito al cuore del problema, evitando troppi giri di parole. La copertura mediatica all’evento è stata garantita a livello istituzionale dai soliti canali (tv, carta stampata ecc.). A livello social, quello che interessa maggiormente a noi, grande lavoro di Chiara Cavalleris: capo redattrice di Dissapore.
Qualche Dissapore al Salone del Gusto 2018
La Cavalleris, figura nota per chi beve craft, ha animato vari momenti della manifestazione. Nell’angolo Dissapore Cafè ci ha fatto seguire un dibattito con alcuni interlocutori del mondo della birra artigianale italiana. Spazi ristretti per l’intervista e cinque ospiti, gomito a gomito, a fare la loro parte. Eugenio Signoroni (curatore di Birre d’Italia, Slow Food Editore), Alessio Selvaggio (ex direttore Unionbirrai), Vittorio Ferraris (direttore Unionbirrai), Teo Musso (Birra Baladin) e il giornalista Maurizio Maestrelli.
Le critiche apparse sui social, spesso invettive fuori dalle righe, hanno riguardato un po’ tutti. La stessa Chiara Cavalleris è stata giudicata troppo accondiscendente in particolare con Teo Musso, ma è uno sfottò ricorrente che non sembra toccarla più di tanto. Altro discorso per Eugenio Signoroni, curatore della guida Birre d’Italia di Slow Food, che ha assegnato chiocciole con troppa superficialità secondo alcuni. Non gli si perdonano giudizi positivi su Birra del Borgo, in particolare. Nell’intervista ha però ribadito un concetto: la guida è soggettiva e non comprende solo artigianali.
Anche Maurizio Maestrelli, giornalista e consulente in materie birrarie, viene da tempo messo alla gogna per la sua collaborazione nel passato con Heineken Italia. Ha però detto cose banali solo in apparenza. Intanto il mercato italiano è fatto di locali contrattualizzati dalle majors industriali, dove i microbirrifici non riescono ad entrare. Posso confermare in prima persona questa verità, buona parte delle pizzerie o ristoranti hanno un contratto che prevede fornitura di industriali o crafty. In realtà è una prassi in voga anche da parte di distributori di microbirrifici artigianali, ma indubbiamente la potenza di fuoco è enormemente diversa, a vantaggio delle multinazionali del settore. Questi aspetti saranno però argomento di un altro articolo prossimamente.
Sul finale una domanda diretta della moderatrice: perchè alla ristorazione interessa poco o nulla della birra artigianale italiana? Secondo Maestrelli perchè le industrie ‘regalano’ la birra alla ristorazione fighetta. Teo Musso si associa immediatamente al concetto ed Eugenio Signoroni rincara la dose citando anche riso Gallo e pasta Barilla tra i munifici sovvenzionatori di ristoranti stellati. Un differente caso di scuola è Niko Romito, citato da Signoroni come chef a tre stelle Michelin il quale da tempo ha fatto suoi alcuni prodotti, come le birre speciali di Birra del Borgo ed alcune Opperbacco. E’ il caso di un professionista che, coerentemente, sceglie in prima persona i prodotti da inserire nei suoi menu; al di là dell’artigianalità definita per legge.
Quale ricetta per salvare i microbirrifici dall’aggressione delle multinazionali
La sintesi finale è un generico invito a maggiore informazione da parte di Unionbirrai. Informazione e consapevolezza, anzi. A mio parere sono principi che, seppur condivisibili, restano parole al vento come nei discorsi dei presidenti della Repubblica di fine anno. Nessun microbirrificio cede la sua microrendita di posizione e non si riesce a mettersi insieme per fare network. A volte è come se il mastro birraio aspettasse un emissario AB Inbev con la valigetta piena di dollari, come capitato ad altri. Altre volte si è in cerca di un’idea, come si sente nelle telecronache di calcio quando l’attaccante non sa cosa fare e si aggira ai limiti dell’area di rigore. Signoroni in questo è categorico, invitando i birrifici artigianali e la loro associazione di categoria a non fare catenaccio in difesa, ma a partire in contropiede.
Brava quindi Chiara Cavalleris, che riesce con uno slancio all’ultimo chilometro a risvegliarmi dal torpore di un’intervista sonnolenta. A mio parere i diretti interessati avevano poche idee e anche abbastanza confuse. Più chiari e diretti, al contrario, i due rinnegati dell’informazione birraria: Signoroni e Maestrelli. Molto concreto soprattutto Eugenio Signoroni, quando propone di inserire corsi di cultura birraria nelle scuole alberghiere, per gli chef di domani. In attesa che si svegli qualcuno è quello che inizierò a fare nella mia zona di riferimento.
Il lager dei birrifici artigianali
Mentre all’interno del Lingotto si discettava di veri e finti birrifici artigianali, in un’area esterna erano relegati parte dei birrifici presenti. L’evento pubblicizzava 46 birrifici selezionati tra i premi di Birre d’Italia di Slow Food. La scelta non è piaciuta molto ai diretti interessati.
Bonci e i supplì surgelati
Altra notizia bomba da Torino, il divorzio tra Gabriele Bonci e Birra del Borgo, sempre grazie a Dissapore Cafè e a Chiara Cavalleris. Ancora una volta sul finale, dal limite dell’area di rigore, arriva l’azione più spettacolare. Assist della Cavalleris e Bonci dichiara di non credere più nell’indissolubilità della partnership con il birrificio di Borgorose. Arriva in questo momento l’episodio dei supplì surgelati. “[…] proprio in Birra del Borgo ho avuto un esempio di come lavora una multinazionale e me ne sono andato. La qualità è veramente pessima, della cucina, quindi me ne sono andato. E’ importante questa cosa. Sono contento per tutto quello che è stato con Birra del Borgo, per me ha rappresentato un’amicizia profonda … però quando hanno fatto il compleanno [BdB Day nda] sotto al marchio Bonci hanno venduto – pausa di puntualizzazione – supplì surgelati. Non fatti da noi“
Sigla di chiusura e sipario sulla manifestazione di Torino tra il brusio in sala degli addetti ai lavori.
Meanwhile in Milan
In quel momento, o poco prima, a 140km di distanza Leonardo Di Vincenzo (fondatore ed attualmente CEO di Birra del Borgo) celebrava un nuovo matrimonio del birrificio reatino. Occasione dell’evento la presentazione del nuovo spazio Identità Golose Hub, il container della manifestazione simbolo del gastrofighettismo. Ogni anno, in genere a Marzo, si riuniscono chef internazionali, esperti ed appassionati per ragionare su un tema. Il 23 Marzo 2019 partirà la prossima edizione di Identità Golose, avente come tema: il Fattore Umano. Ripercorrere con Leonardo la storia della birra artigianale italiana fa venire un po’ di nostalgia. A qualcuno spunta una lacrima sui social.
Sempre sui social, si fa notare che nella carrellata di pionieri citati nell’intervista manca proprio Teo Musso, in pole position nella manifestazione di Torino a bastonare gli ‘industriali’. Un caso? Chissà.
Doppia apertura di Bancone BdB a Roma
Lunedì 24 Settembre alle 10:09, sul blog del Gambero Rosso viene pubblicata un’intervista sempre a Leonardo Di Vincenzo. Lo spunto della chiacchierata con la giornalista Livia Montagnoli è la prossima apertura a Roma di due locali targati BdB e chiamati genericamente Bancone. Ricordo che il Bancone di Birra del Borgo è la Tap Room del birrificio, nella sede di Piana Spedino sull’A-24 Roma-L’Aquila. I due nuovi locali apriranno in piazza Bologna e via del Pigneto, luoghi simbolo del movimento craft romano alla pari di Trastevere.
“affidato alla supervisione del nostro pizzaiolo Luca Pezzetta, che resta l’unico responsabile di impasti e lievitazioni dopo la fine, recente, della collaborazione con Gabriele Bonci”
Leonardo Di Vincenzo su Gambero Rosso del 24/9/2018
Torna alla mente la narrazione nostalgica fatta due giorni prima su sito di Identità Golose. L’apertura di Bir & Fud, primo locale in parte BdB che nacque nel 2007 in via Benedetta a Roma (di fronte al Ma che siete venuti a fa) con Manuele Colonna famoso publican e Gabriele Bonci noto pizzaiolo. Il cerchio si chiude, quindi.
Sono queste, dunque, le ultime dinamiche della situazione birraria italiana. Un birrificio ex artigianale proiettato ormai in un percorso solitario di copertura del mercato con il suo brand. Il padre putativo della birra italiana, Baladin, che segna un po’ il passo, forse un po’ rallentato nel rinnovarsi. Altri birrifici di livello come Birrificio Italiano, Lambrate, Ducato (altro ex), Toccalmatto, Brewfist spariti dai radar. Extraomnes scalpitante come al solito, con Luigi ‘Schigi’ D’Amelio che blasta incoerenze e incongruenze con la solita verve. Molti altri, invece, occupati nell’attività corrente di produzione con delega permanente di occuparsi di queste cose a Unionbirrai.
Il tappo
E poi?
E poi una miriade di nuovi micro, nano e pico produttori di birra artigianale italiana a lottare contro un mercato avaro. Con un tappo sulla testa, rappresentato dai microbirrifici in attività da maggior tempo, che impedisce loro di crescere. Non c’è più l’effetto traino rappresentato dai mastri birrai superstar, quelli alla Teo Musso e alla Leonardo Di Vincenzo per intenderci. Ora che l’apice del ciclo di vita di un microbirrificio è rappresentato dall’acquisizione di una multinazionale, ci si guarda con sospetto nell’ambiente. Si parla da mesi della potenziale acquisizione del birrificio che fa quelle birre piene di luppolo che vanno tanto ultimamente. Gli influencers già parlano di stili superati, ma nel frattempo lo zoccolo duro dei beer geeks continua a bere le NEIPA e l’impressione che se ne ha è che si voglia rallentare la volata all’acquisendo.
Trinacria Homebrewers: un fenomeno in continua fermentazione
In questa settimana, però, c’è stato anche un … però.
Domenica 23 Settembre l’associazione siciliana Trinacria Homebrewers mi ha coinvolto come giudice in una manifestazione di birrai casalinghi. Stili di riferimento, per l’occasione, quelli tipici del Belgio. Un invito a nozze per me, stilisticamente di osservanza belga dopo il periodo luppolato che prende un po’ a tutti in gioventù. Non ho potuto fare a meno di notare una cosa, il livello qualitativo delle birre portate ai concorsi è notevolmente aumentato.
Fino a pochi anni fa per partecipare ai concorsi dovevi essere convenzionato con qualche reparto di gastroenterologia e presentarti in giuria con una scorta di Gaviscon. Una bella scatola formato famiglia. Delle venti birre presentate al pub Etimuè di Acireale per il concorso, solo un paio avevano problemi di gushing: dovuto probabilmente al fruttosio aggiuntivo, si trattava di fruit saison. Il resto dei campioni era abbondantemente potabile con punte di eccellenza nelle tripel, nelle dubbel e in due fermentazioni spontanee che hanno lasciato qualche dubbio sull’effettiva genuinità: troppo perfette. In ogni caso l’homebrewer, che ha poi vinto la gara, avrebbe un futuro da lambic blender nel Pajottenland.
Fatta salva quindi la notevole crescita dei nuovi birrai dilettanti, la considerazione successiva è un’altra. La salvezza del movimento, se vogliamo parlare di questo, è rappresentata dai birrifici futuri più che dai birrifici attuali. Mi spiego meglio. I microbirrifici attualmente in attività sono soggetti alle leggi del mercato, come tutte le aziende che nascono, crescono e talvolta malauguratamente muoiono. Può capitare che un birrificio che va per la maggiore divenga obsoleto o esca dal mercato senza accorgersene. Può capitare perchè legato a stili birrari che non vanno, perchè non sa rinnovarsi, perchè è assorbito da un concorrente o da una major … è normale che un settore in crescita o che fa tendenza attiri interessi ed investitori. Questo settore smetterà di crescere quando non ci sarà più ricambio generazionale o quando esploderà la bolla economica, secondo altri.
Il futuro è, come sempre, nelle nuove generazioni.
Lo stato di salute della birra artigianale italiana non è la quota di mercato, che può anche restare al 3%/4% sul totale delle vendite. Non ci sarà spazio per tutti, ma resteranno sicuramente i migliori per un principio darwiniano di selezione naturale. Se poi si volesse incrementare quella percentuale bisogna dare retta, più che ai guru e agli influencers, a persone come Eugenio Signoroni. Il modo migliore per far entrare le buone birre artigianali nell’alta ristorazione, quella che attualmente fa tendenza e traccia la rotta per tutto il resto, consiste nell’aumentare la consapevolezza e la cultura di chi studia oggi per diventare chef o buyer domani.
Se non sembrasse ambiguo, proporrei di aspettarli fuori dagli istituti alberghieri.
D’altra parte, che alternativa c’è?
Cercare di convincere Cracco che con le sue pizze sarebbe preferibile la Tipopils di Agostino Arioli rispetto a una sarda non filtrata, è tempo perso.
Primo, non gli conviene.
Secondo, già lo sa.
Tertium non datur …
Cheers
Fabio Venditti
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