“Birra: una bionda da 9 miliardi. Il settore dà lavoro a 92 mila persone, distribuisce salari lordi da 2,5 miliardi ed è in netta crescita: ormai il valore della produzione ha quasi raggiunto quella del vino. La Lombardia motore dello sviluppo”
da Repubblica.it
Mi cade l’occhio su un articolo di Repubblica del 30/11/2018 in tema di birra, sezione Economia & Finanza. Riprendo l’occhio finito sotto la scrivania per lo stupore e leggo incuriosito, forse è la volta buona per mettere da parte il mio pessimismo in materia.
“Vale quanto il settore della moda maschile e quasi come l’intero business della cosmetica: all’Italia la birra piace. In due anni, dal 2015 al 2017, il contributo della filiera all’economia nazionale è cresciuto di 1 miliardo di euro (più 12,9%) passando da 7.834 miliardi a 8.863 miliardi di euro, equivalente allo 0,51% del Pil. Raffrontato al settore delle bevande in generale (dati Istat), la birra rappresenta circa la metà (47%) del valore della produzione nazionale (che ammonta a 18,9 miliardi), ed è pressoché pari alla produzione vinicola (stimata in 9,5 miliardi nel 2017).”
Inizio a gasarmi di brutto, è arrivato il momento di prendermi qualche rivincita sui vecchi colleghi di molti anni fa rimasti a vendere cravatte e camicie firmate. Inizio a pregustare vendette anche verso alcuni sommelier un po’ snob, col sopracciglio inarcato e la narice sprezzante quando si parla di luppoli americani. L’ISTAT certifica la quasi parità (in valore) con la produzione di vino.
Pazzesco.
“I dati diffusi dall’Osservatorio Birra nel rapporto “La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia” realizzato da Althesys per conto della Fondazione Birra Moretti, segnalano un settore in netta crescita.”
Birra Moretti?!
Esamino meglio l’articolo: senza firma.
Un redazionale tratto dal comunicato stampa di Osservatorio Birra, cioè Fondazione Birra Moretti, cioè Birra Moretti, cioè Partesa, cioè Heineken, cioè il più importante player sul mercato italiano della birra. Il volume di vendite del gruppo Heineken nel nostro Paese è ormai consolidato. Il fatturato Heineken è maggiore di circa il 50% rispetto al secondo produttore, Peroni/Asahi. Il terzo competitor, la ben nota AB-InBev, è ancora più lontana; Heineken fattura più del triplo nella penisola. Seguono altri produttori e importatori, ma molto ben distanziati.
Se parla Heineken è sempre bene ascoltare, quanto meno per capire da che parte tira il vento ed evitare di prendere improvvise correnti fredde sulla cervicale. Negli ultimi tempi mi era già arrivato qualche ‘spiffero’ sul dinamismo degli olandesi e, nel mio microcosmo, mi piace sempre prevedere scenari.
Questo comunicato stampa (scaricabile qui dal sito di Osservatorio Birra) potrebbe quindi rappresentare un piccolo cambio di passo nella più complessa strategia del gruppo, in lento e costante movimento. Gli obiettivi non sono dichiarati … e ci mancherebbe! Si possono però immaginare, regolandosi di conseguenza nella difesa del piccolo avamposto di disperati chiamato Birra Artigianale.
Ho isolato, dal contesto di numeri e parole, alcuni termini chiave ed ipotizzato degli interlocutori. Il comunicato stampa trae origine da un report realizzato da Althesys, società di consulenza finanziaria formata da bocconiani e laureati alla Cattolica. Anni luce dagli scenari che mi capita di ipotizzare con qualche vecchia spugna da bancone, nelle feste della birra.
Il valore condiviso
Termini chiave: valore condiviso, occupati, contribuzione fiscale.
Interlocutori: Regione Lombardia ed ‘altri’. L’aggettivo ‘condiviso’. riferito al valore, è decisamente di tendenza. Heineken ci ricorda che il settore birra ha prodotto nel 2017 lo 0,51% del PIL nazionale. E’ innegabile il contributo che la nostra bevanda preferita offre all’equilibrio finanziario nazionale, tanto di moda nel dibattito politico recente. Parliamo della cifra mostruosa di 8,8mld di Euro o, come preferisce scrivere l’Osservatorio Birra, 8.863 milioni di Euro. Indubbiamente è più altisonante parlare di migliaia di milioni piuttosto che di pochi miliardi. Sfugge però il concetto di condivisibilità di tale cifra. Uno schema del report illustra meglio chi si avvantaggia della maggiore produzione di birra.
Un motore a quattro tempi
Heineken spiega il processo in quattro fasi distinte: fornitori, produzione, logistica e vendita. Ogni fase ha ricadute su valore aggiunto, occupazione e contribuzione fiscale. Solo una fase però, a dire della multinazionale, ha ricadute dirette sull’economia. Le altre fasi probabilmente non sono governate direttamente all’azienda: chissà. Il momento produttivo lega insieme un valore della produzione di circa 1,5mld di Euro e 3.885 dipendenti. Una produttività media altissima, il cuore di tutto il processo. Le altre fasi, pur importanti, non hanno questi parametri. Mi pare di capire che su questo aspetto si faccia maggiormente leva. Grande valore aggiunto, legato a una forza lavoro da 4000 dipendenti, che produce base imponibile e, nel caso specifico di Heineken, concentrato soprattutto in Lombardia, nella provincia di Bergamo in particolare.
Mi viene facile associare le informazioni riportate in questo report alla ricerca di interlocutori di livello istituzionale. Il simbolo della Regione sul report stesso è l’imprimatur di un collegamento di alto livello con la multinazionale olandese. Probabilmente anche un canale preferenziale verso interlocutori di livello superiore.
Le birre speciali
Fino a pochi mesi fa Heineken, tramite l’Osservatorio Birra, si era occupata con una certa frequenza di ‘birre speciali’. Un addetto ai lavori dovrebbe conoscere a memoria le denominazioni citate nella Legge 272/1998 in materia di birra. Per chi ha problemi a ricordare come me riporto un passaggio dell’art. 2. “[…] può essere denominato “birra speciale” se il grado Plato non è inferiore a 12,5 e “birra doppio malto” se il grado Plato non è inferiore a 14,5.”
Lasciamo da parte, per una volta, l’eterna questione della birra doppio malto. Soffermandoci sulla birra speciale, ci si potrebbe chiedere che interesse abbia Heineken verso birre con grado alcolico da 4,3% a 5%. Se si intendesse l’aggettivo ‘speciale’ in senso restrittivo si potrebbe dire che gran parte delle birre del gruppo olandese siano speciali. E allora?
Il sospetto è che non ci si riferisca a quelle birre. Ho la sensazione che non si intendano nemmeno le ‘regionali’, oggetto di marketing asfissiante alcuni anni fa. Il complottismo innato mi porta a pensare a qualche mossa in termini di HoReCa e GDO, altri termini frequenti nel lessico della comunicazione aziendale.
Si potrebbe obiettare: ma perchè ti interessi tanto di Heineken? Parlare del nemico lo rende solo più forte. Ma è già più forte, anzi ‘il’ più forte. Il confronto non esiste nemmeno, il gruppo olandese è dieci volte l’intero settore artigianale italiano.
Qualcosa sta bollendo in pentola.
Rumors e segnali provenienti dai log del sito web che amministro mi fanno pensare a nuovi attori in scena nel commercio di birra artigianale. Forse le acquisizioni si sono temporaneamente fermate. Se Heineken si interessa in modo più approfondito di abitudini di consumo e Amazon riesce a diventare operatore postale in Italia, qualche domanda me la farei.
In ogni caso.
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Cheers!
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